Che gli scacchisti siano da sempre dei personaggi estremamente particolari, al di là di quelle che possano essere le specifiche capacità tecniche, è un fatto ormai assodato. Nella ultrasecolare storia di questa “arte sportiva”, sono numerosissimi i grandi campioni che l’hanno valorizzata, non soltanto per il livello di gioco.
Tra questi, un posto di rilievo lo detiene sicuramente Aaron Nimzowitsch. Nato a Riga il 7 novembre 1886, ma di lingua tedesca, fu un talento assai precoce. La famiglia, certamente benestante, lo mandò nel 1904 a Berlino per seguire gli studi di filosofia, materia che lui abbandonò immediatamente per intraprendere la carriera di scacchista professionista. Nei primi del ‘900 fu con Breyer, Richard Reti e Tartakower, uno dei capofila del movimento “ipermoderno”.
Il nome di Nimzowitsch è sempre stato sinonimo di originalità e di stravaganza. Questo sia per la personalità inquieta e ribelle, sia per il suo stile di gioco rivoluzionario per la sua epoca e ancor oggi stupefacente per la ricchezza di idee spesso paradossali. Ma la fama di Nimzowitsch è dovuta soprattutto alla sua famosissima opera “Mein System” (Il mio sistema), forse il testo scacchistico preferito dal sottoscritto oltre che dal grande campione mondiale Tigran Petrosjan.
Il mio sistema è, a mio avviso, il Vangelo degli scacchi in alcuni principi generali: le catene di Pedoni vanno attaccate alla base poi alla punta, i punti centrali vanno ipercontrollati, le Torri mirano alla settima (seconda) traversa, il modo migliore di bloccare i Pedoni liberi è mediante un Cavallo, l’occupazione del centro deve essere realizzata con Pezzi e non con Pedoni, ecc. ecc.
Un testo che getta le fondamenta del gioco posizionale attraverso uno stile originale ed a volte pure goliardico, ricco di metafore tra la scacchiera e la vita quotidiana. Chiunque l’abbia letto, non potrà non ricordare il pedone laterale dell’avversario paragonato ad “un vicino di casa cordiale ma un po’ chiacchierone”, il centro paragonato “ai Balcani della scacchiera”, i concetti di “avamposto”, di “superprotezione” e di “mobilità generale”.
Nimzowitsch, in base alla posizione sulla scacchiera, rende vivi i pezzi, gli associa una personalità, uno stato d’animo, una storia…
A livello agonistico Nimzowitsch non raggiunse risultati pari alla sua fama letteraria. Fu comunque uno dei più forti giocatori del mondo giungendo quarto nei grandi tornei di Ostenda e di Karlsbad del 1907. La sua debole costituzione fisica ne provocò la scomparsa prematura a Copenaghen nel 1935, a soli 49 anni.
Dulcis in fundo, a conclusione di questa bio-recensione, vi riporto un aneddoto che Mises ricorda nel testo “Schach-Taschen-Jahrbuch” del 1953: “Vorrei ricordare, come una particolare stranezza, l’avversione quasi isterica di Nimzowitsch verso il fumo, che era nota a tutti i suoi concorrenti. Un avversario, forte fumatore, era per lui un oggetto di grandissima antipatia. La maggior parte degli avversari del suo tempo gli faceva il favore di tenerne conto. A questo proposito si verificò in uno dei suoi ultimi tornei (partita contro Vidmar, Veldes 1931) un divertente episodio. Egli si rivolse al direttore del torneo pregandolo di chiedere al suo avversario di non fumare. “Ma non sta affatto fumando” replicò il direttore. “Lo so” disse Nimzowitsch, “ma minaccia di fumare, e la minaccia è notoriamente più forte della sua esecuzione”.
Chi può dargli torto?
Francesco Zaccagni, 30/06/12